Disturbi di personalità

Da sempre esistono tentativi di classificare le diverse personalità, comprese quelle disturbate. Un manuale molto usato sia in ambito psichiatrico che psicologico, giunto alle sua IV edizione -la V sta per uscire- e che appunto si chiama DSM IV (Diagnostic and Statistical Manual of Mental Disorder) ne annovera dieci: le personalità paranoide, schizoide, schizotipica, antisociale, borderline, narcisistica, istrionica, evitante, dipendente e ossessiva-compulsiva. Un’altra via per affrontare la questione “personalità” è quella dell’Enneagramma. L’Enneagramma di per sé non è affatto una classificazione di personalità; nasce come un simbolo sapienzale proveniente dall’antica tradizione alchemica; il primo a portare l’Enneagramma all’attenzione dell’Occidente industrializzato, agli inizi del ‘900 fu un personaggio misterioso di nome Gurdjieff, forse originario dall’Afganisthan; i suoi insegnamenti orali furono raccolti da un discepolo russo Ouspensky nel libro “Frammenti di un insegnamento sconosciuto”. L’Enneagramma è un diagramma che vuole sintetizzare e rappresentare molte cose, non specificatamente le personalità. Si tratta in sostanza di un cerchio, all’interno del quale è inscritto un triangolo; oltre ai 3 vertici del triangolo sulla circonferenza del cerchio si trovano altri 6 punti, connessi fra loro da linee. Questi 9 punti sulla circonferenza possono rappresentare 9 tipi di personalità; questo è il modo in cui attualmente l’Enneagramma è più utilizzato. Le personalità sono chiamate col numero che le contraddistingue, così avremo un tipo UNO, un tipo DUE ecc; le linee indicano la direzione verso cui ogni carattere dovrebbe evolversi per completarsi. L’idea interessante infatti che sta alla base dell’Enneagramma, come lo presenta Claudio Naranjo nel suo libro “Carattere e nevrosi”, è che non è un bene avere una personalità troppo definita. Il termine “carattere” viene dalla parola greca χαρασσω che vuol dire “scolpire nella pietra”, quindi porta con sé il concetto di qualcosa di rigido e non modificabile. Ora, avere una personalità rigida significa  avere a disposizione solo un determinato numero di reazioni di fronte alle innumerevoli situazioni cui la vita ci pone di fronte, il che è come dire di avere solo un numero limitato di frecce da scoccare. Per fare un esempio, se sono una persona molto precisa probilmente mi troverò bene in contesti precisi e ordinati, ma farò fatica ad adattarmi a contesti mutevoli e potenzialmente caotici. Siamo abituati a pensare in termini di “pregi” e “difetti” ma questa è una semplificazione non sempre efficace; la verità è che in contesti differenti servono qualità differenti; a volte è produttivo essere opportunisti, a volte è più fertile essere testardi e così via. Pertanto, sono le personalità o i caratteri più definiti ad essere quelli più nevrotici; in questo senso il titolo del libro di Naranjo potrebbe essere riformulato da “carattere e nevrosi” in “carattere è nevrosi”. L’Enneagramma non individua soltanto i tratti caratteristici dell’Ennatipo Uno, Due, Tre ecc (che peraltro a loro volta sono suddivisibili in tre sottotipi, arrivando così a un totale di 27 possibili personalità), ma indica anche quali sono le qualità che devo integrare per raggiungere la massima flessibilità possibile; di solito si tratta di avvicinarsi all’Enneatipo opposto a quello in cui ci siamo riconosciuti. Ecco allora che la differenza fra personalità “sana” e “patologica” sfuma; per ogni enneatipo esiste sicuramente una versione patologica: è quella in cui i tratti sono più estremi e rigidi. Lavorare sul proprio enneatipo significa in primo luogo riconoscerlo e divenirne consapevoli; in secondo luogo cominciare un percorso che ci porti a integrare le caratteristiche a noi più lontane, in modo da rendere la nostra personalità sempre meno definita e il nostro approccio alla vita meno prigioniero delle abituali reazioni (es. “sono fatto così: sono geloso” oppure “sono impaziente: è il mio carattere” ecc) perché possa fluire liberamente nel maggior numero di reazioni possibili, scegliendo di volta in volta quella più adattiva rispetto alla situazione.

 - Sabrina Marazzi Psicologo Milano

Trovare un’immagine che rappresenti tutti i disturbi di personalità è molto difficile, perché sono tanti e diversi fra loro. Alla fine ho scelto questa tela che rimanda ai disturbi narcisistici perché nell’Enneagramma, così come viene spiegato da Naranjo, il tema del narcisismo ricorre, anche se con connotazioni diverse, in più di un enneatipo: se ne parla a proposito del Tre, del Sette, del Due e anche dell’Otto. (Questo peraltro non significa far riferimento al Disturbo di personalità narcisistica specifico del DSM IV, che corrisponde al Sette). L’opera in questione si intitola Narciso ed è attribuito a Caravaggio, fu dipinta in un periodo che va dal 1597 al 1599 ed è conservata a Palazzo Barberini a Roma. Il soggetto del dipinto fa riferimento al mito di Narciso della tradizione classica; la vicenda è nota, anche se ne esistono verie versioni: Narciso era un giovane bellissimo di cui tutti si innamoravano solo vedendolo, ma che respingeva tutti i pretendenti non ritenendoli degni di lui. Un giorno specchiandosi in uno stagno intravide finalmente un viso bello quanto il suo e non realizzando che fosse il suo riflesso, se ne innamorò. L’attrazione verso questo sconosciuto lo portò ad avvicinarsi sempre più all’acqua e qui con l’intenzione di porre un bacio sulle labbra del suo omologo, finì per cadere nel lago e annegare. L’autore rappresenta Narciso proprio nel momento in cui, ingannato dal riflesso, si sta sempre più avvicinando all’acqua, con le labbra già schiuse e le palpebre abbandonate, con un atteggiamento rapito e quasi commosso. Il tratto distintivo del quadro è l’evidente simmetria fra la parte alta (Narciso) e quella bassa (Riflesso); la linea dell’acqua segna il confine fra le due parti, che occupano una medesima porzione di spazio. Pare evidente l’intenzione virtuosistica dell’autore di costruire un’immagine perfettamente speculare; al tempo in effetti non esistevano negativi e fotografie! Non si può dimenticare però che quella descritta è una vicenda tragica, ecco quindi che le due metà si differenziano dal punto di vista della luce: la figura di Narciso è dominata da ampi spazi chiari (le maniche a sbuffo, le braccia, il viso e il collo nonché un ginocchio), quella del Riflesso è quasi del tutto scura. Forse un’allusione alla morte che il Riflesso porta con sé? Oppure al lato oscuro di una personalità egoista nei confronti degli altri, che sa commuoversi solo su di sé? Fra l’altro di questa favoleggiata bellezza non riusciamo a cogliere molto: il viso è di profilo e i lineamenti ci sfuggono, così come gli occhi; sono in evidenza solo le braccia e le mani, che però non appaiono particolarmente delicate. Nel complesso non ci appare una figura leggiadra, di una bellezza eterea quanto un robusto contadinello. E’ vero che il mito non specifica il tipo di bellezza e i caratteri estetici di Narciso però in qualche modo evoca qualcosa di superiore e di diverso dalla media, mentre il Narciso che vediamo qui pare un qualsiasi giovane in buona salute. E’ noto che Caravaggio utilizzasse come modelli per i suoi quadri, persone “ del popolo”, persino quando trattava tematiche religiose; questo è stato interpretato come un intento di desacralizzare le figure e le vicende che gli venivano commissionate, forse per ribellione, forse per l’esigenza personale di un maggior realismo. Anche qui si può dire che Narciso ne esca ridimensionato, per quanto riguarda la sua famosa bellezza e in qualche modo questo rende ancora più tragica la sua fine, in quanto diviene meno nobile e più tristemente banale. Nel mito la fine di Narciso era una punizione degli dei per la sua insensibilità; quale punizione migliore per un narcisista del vedersi rappresentato come insignificante? In realtà in termini psicologici, il narcisista non è un insensibile e nel suo vivere ci può essere molta sofferenza; una sofferenza che peraltro non viene quasi mai capita. Potremmo dire che questo accade anche al Narciso di Caravaggio: sappiamo che sta per morire ma non ci preoccupiamo per lui, non sentiamo dispiacere, al contrario siamo tentati di considerarlo solo uno sciocco.

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