Problemi di coppia

La coppia è un tema centrale per ognuno di noi; chi può dire di non avere a che fare con la coppia? C’è chi è single, ma vorrebbe essere in coppia e non riesce a realizzare il suo obiettivo; c’è chi fa parte di una coppia, ma la vorrebbe diversa, c’è chi ha appena chiuso un rapporto e lo rimpiange.. I casi in cui la coppia è centrale sono davvero tanti. Una prima distinzione utile è quella fra “richiedere una consulenza in coppia” e portare la coppia come “tema” all’interno di una consulenza individuale. Sono due situazioni diverse, che richiedono tempi e modalità diverse. Nel primo caso è necessaria la volontà di entrambi i membri della coppia; cosa già di per sé non sempre facile. Inoltre la consulenza spesso si modula alternando incontri individuali, con incontri appunto “di coppia”. In questo tipo di situazione è fondamentale specificare bene le regole. In primo luogo deve essere chiaro che lo psicologo non è un giudice col compito di stabilire chi ha torto o chi ha ragione fra due contendenti; è solo un facilitatore che cerca di consentire alla coppia di esplorarsi e di capire cosa vuole fare. Altro esempio: il focus dello psicologo non sarà su uno dei due, ma su di una terza parte: sulla relazione fra i due. Inoltre la persona che viene all’incontro individuale deve essere sicura che quanto dice rimarrà privato e non verrà riportato sbadatamente dal consulente nel successivo incontro a tre; potrà essere argomento di discussione solo se verrà ripresentato da uno dei due membri della coppia nell’incontro successivo.  Operativamente un primo approccio diagnostico può essere così articolato: un incontro a tre, due incontri individuali, uno con ciascuno e uno finale di restituzione e sintesi. Ma la coppia può anche essere il tema di una consulenza individuale, come accade nella maggioranza dei casi. Qui si cercherà di esplorare alcuni punti fondamentali: come mi relaziono con l’altro? Cosa mi aspetto dall’altro? Spesso emergono aspetti interessanti; l’analisi della situazione consente di scoprire che spesso l’amore è il paravento di una dipendenza; l’amore è la parola magica che giustifica tutto, che tutto assolve e tutto risolve (apparentemente). A livello sociale infatti tutte le forme di dipendenza (da sostanze, da gioco d’azzardo, da cibo ecc) portano con sé uno stigma di disapprovazione; le dipendenze sentimentali invece no. A volte solo quando la sofferenza si fa estrema, la persona decide di mettere in discussione il rapporto. L’amore è una forza positiva, che incoraggia e rende forti; quando ci fa sentire deboli e insicuri.. forse ci dovremmo chiedere se si tratta veramente di amore o di mancanza di fiducia nelle nostre capacità; a volte infatti proiettiamo sull’altro tutte quelle qualità che sentiamo mancarci ed essere essenziali. C’è da dire che l’ambiente sociale, le canzoni, i film, i libri spesso non ci sono d’ispirazione, ma al contrario sono fuorvianti; infatti rinnovano il mito di un amore che per essere “grande” deve scordare la dignità personale e il rispetto di sè. Due qualità di cui è necessario riappropriarsi proprio per essere veramente in grado di amare. In un famoso libro di auto-aiuto “Le vostre zone erronee. Guida all’indipendenza dello spirito” l’autore, Dyer Wayne W. prende alcune frasi tipiche di canzoni d’amore che mandano messaggi distorti, in quanto ad autostima e indipendenza e si diverte a riformularle. Per esempio prende la frase “Non esisto senza di te” e la traduce in “ Non esisto senza me stesso ma averti qui è bellissimo”. Conclude poi ammettendo che “queste parole non farebbero vendere un solo disco”, ma che facendo abitualmente questo esercizio si potrebbe cominciare a … “imprimere una nuova direzione ai messaggi che ci giungono e che riflettono la mentalità acquisita dai più, nella nostra cultura.” (“Le vostre zone erronee” Guida all’indipendenza dello spirito”, Dyer Wayne W., edizioni Bur Rizzoli, Milano, 1980).

Problemi di coppia - Sabrina Marazzi Psicologo Milano

Credo che questo dipinto di Magritte esprima bene la tematica dei problemi di coppia. L’opera si intitola “Gli amanti” ed è datata 1928. Ne esistono due diverse versioni, una conservata al Moma di New York e l’altra alla National gallery of Australia. Magritte è uno dei più conosciuti esponenti del filone surrealista in cui si lascia ampio spazio alle visioni oniriche, dove spesso si nota l’assenza di una razionalità cosciente e dove l’interpretazione vuole rimanere aperta, indefinita, sfuggente. In questo dipinto colpisce subito la contaddizione fra l’intenzione evidente delle due figure di baciarsi e l’impossibilità reale di farlo, dovuta ai lenzuoli che coprono loro il volto; impossibilità di cui peraltro non sembrano rendersi conto. Non c’è alcun movimento infatti nelle braccia e nei corpi volto a strappare via questi teli bianchi, ma solo un’acquiescente passività. Come se il bacio non potesse essere diverso da così, come se questa fosse l’unica possibilità data agli amanti. Di queste due figure non è dato sapere molto: lui è abbigliato in modo anonimo con giacca e cravatta neri e una camicia bianca (una tipologia di rappresentazione del maschile ricorrente in Magritte), lei indossa un abito rosso di cui ignoriamo ogni particolare ( si tratta di un abito scollato e seducente? oppure di un vestito del tutto banale? è un abito contemporaneo a quello della figura maschile o appartiene ad un’altra epoca? non lo sappiamo). Anche lo sfondo è quanto più vago possibile: un fondale blu -il cielo?- e una parete rossa, della stessa tonalità del vestito della donna, infine uno scorcio di cornice bianca ed elaborata, nell’angolo in alto. Nell’insieme si ha l’impressione di non trovarsi davanti ad uno sfondo reale, di una casa vera, infatti il blu irrompe sulla scena senza essere inquadrato da alcuna finestra e il colore del muro risulta improbabile, infatti non capita spesso di indossare un abito che abbia la stessa esatta tinta del muro! Pare il classico sfondo metafisico, senza tempo e senza un vero spazio, un “non luogo”. Inoltre i colori (blu, rosso, bianco, nero) che si ripetono identici sembrano suggerire l’idea di un circolo chiuso, che si avvita su di sé, in un mistero noto solo ai due amanti e forse neppure a loro. Sembra impossibile non percepire un senso di incomunicabilità totale: non solo fra i due amanti, ma anche fra loro e l’osservatore, che rimane pieno di dubbi e domande. Quello che Magritte sembra mettere in scena è l’impossibilità per due persone attratte una dall’altra di avvicinarsi veramente, di entrare in un  reale contatto; ognuno rimane un mistero per l’altro. Il fatto che i lenzuoli avvolgano entrambi i volti sembra suggerire che facciano parte della natura umana e che non siano un incidente casuale. Quello che rende il quadro così drammatico e angosciante è il contrasto fra una scena che non ha nulla di movimentato, dove tutto pare tranquillo e quasi “normale” col fatto che di normale qui non c’è proprio nulla. Non si tratta di tranquillità, ma di una staticità passiva, che si arrende all’evidente impossibilità del contatto. E che suscita prima perplessità per poi sfumare in una triste constatazione.

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