Sinestesia

Sinestesia - Sabrina Marazzi Psicologo Milano

Il materiale di questa sezione è un eleborato tratto dalla mia tesi di Laurea

“La sinestesia sensoriale può divenire
una metafora poetica.
Analisi delle metafore sinestesiche
di “Ossi di seppia” di Montale”

La tesi è pubblicata nella sua versione integrale sul sito: www.tesionline.it

La prima volta che sentii parlare della sinestesia ero al Liceo e stavo studiando la poesia simbolista francese; un bel giorno mi capitò di leggere la poesia di Baudelaire, intitolata “Corrispondenze”. In questa poesia sensazioni appartenenti a modalità diverse si intrecciano fra loro: “Esistono profumi freschi come / carni di bimbo, dolci come oboi, / e verdi come praterie” scrive Baudelaire. Questo procedimento stilistico, che porta ad associare due o anche più sensazioni, provenienti da modalità diverse colpì la mia immaginazione; scoprii che aveva un nome: sinestesia. Avevo sempre associato colori a nomi e numeri, ma credevo fosse una procedura comune a tutti;  mi resi invece conto che non è proprio così: esistono persone propriamente sinestesiche che percepiscono davvero il colore evocato e persone che si limitano a fare delle associazioni, peraltro solo in certi casi e solo se viene loro richiesto di farlo. Il mio mondo si divise così in persone dalla sinestesia “forte” e persone dalla sinestesia “debole”. Compresi inoltre che la metafora poetica sinestesica era probabilmente un derivato di questo misterioso fenomeno sensoriale.

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La parola “sinestesia” deriva dal greco συν αισθανομαι che significa “percepire insieme”. In realtà potremmo considerare ogni attività percettiva come un’attività sinestesica; infatti, anche se le diverse modalità sensoriali vengono di solito studiate separatamente, la percezione avviene per lo più sinestesicamente, in quanto la maggior parte degli stimoli, eccitano più di un canale sensoriale e ognuno di noi “percepisce insieme” suoni, colori, odori e sapori. “Annusare mangiando, ascoltare gustando, toccare fiutando sono semplici atti combinati di tutti i giorni e per ognuno di essi è lecito parlare di sinestesia.” (Pignotti, 1993, pp. 18-30).

Il termine sinestesia però, come si è detto, designa anche un fenomeno psicologico più circoscritto, che sembra riguardare una percentuale piuttosto limitata di persone e di cui si rintraccia una definizione di base nell’Enciclopedia medica italiana: “La sinestesia è quel fenomeno per cui la stimolazione di un canale sensoriale produce, oltre alla percezione specifica del canale attivato, anche la percezione di un altro o più canali.” 

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La tipologia di sinestesia più frequente è quella che interessa l’apparato auditivo associato a quello visivo, detta audizione colorata, per la quale uno stimolo sonoro determina nel soggetto, oltre alla percezione specifica del suono, anche la percezione di un colore; in questo caso gli stimoli sonori sono singoli fonemi o sillabe o parole oppure numeri; le immagini indotte consistono in visioni di luci dalla forma variabile o di colori; in qualche caso vengono evocate figure complesse, più o meno definite, di oggetti e persone. Esistono poi le sinestesie che riguardano la stimolazioni sensoriale di tutte le altre  modalità: tatto, olfatto, gusto, ecc.

Sulla base dei resoconti dei soggetti sinestesici, le principali caratteristiche con cui il fenomeno si presenta sarebbero le seguenti: 

  • l’esperienza è involontaria ed automatica, cioè sorge contemporaneamente allo stimolo, come una specie di riflesso.
  • la sensazione ha carattere di realtà, cioè è percepita come proveniente dallo stimolo e non come frutto della fantasia.
  • la sensazione è altamente consistente, cioè si riproduce identica a distanza di tempo.
  • generalmente la sensazione è rigida ed unidirezionale, cioè l’associazione si stabilisce tra una data modalità sensoriale, ad esempio acustica ed un’altra, ad esempio visiva, ma non viceversa” (Dogana, 1993, p. 20).

Se lavoriamo con uno schema di 7 sensi, schema che comprende non solo la vista, l’udito, il gusto, l’olfatto ed il tatto, ma anche la temperatura e il dolore, in quanto la stimolazione dei recettori cutanei non produce solo sensazioni tattili, ma anche termiche e dolorifiche, in teoria dovremmo aspettarci 21 paia di possibili combinazioni o meglio 42 paia, considerando che la sinestesia è, come si è detto, unidirezionale. In ogni caso, dovremmo aspettarci un gran numero di combinazioni. Invece, curiosamente, si scopre che la maggioranza dei casi di sinestesia riguarda solo un tipo di relazione, quella fra l’udito e la vista. Inoltre, di tutti i tipi di suoni  che esistono nell’ambiente, i suoni del linguaggio risultano essere gli stimoli più potenti nel risvegliare le immagini visive. Infine, nell’ambito dei suoni linguistici, tendono a dominare i suoni delle vocali. Per questo motivo, coloro che per primi si occuparono della sinestesia e cioè medici e fisiologi (quasi sempre tutti sinestesici in verità) si dedicarono soprattutto in modo particolare all’audizione colorata.

La prima testimonianza di un caso di sinestesia sembra essere quella del filosofo inglese Locke (1690) che descrisse un curioso episodio di cui era venuto a conoscenza: un giorno, un cieco si era vantato con un amico di essere in grado di capire cosa fosse il colore rosso; quando l’amico gli aveva chiesto di spiegarsi meglio, egli aveva risposto che il rosso era come il suono di una tromba. Procedendo nel tempo troviamo la testimonianza di Sachs che descrisse svariati fenomeni di audizione colorata a cui sia lui che la sorella andavano soggetti: i numeri, le lettere dell’alfabeto, gli intervalli della scala musicale, i suoni degli strumenti musicali suscitavano in loro rappresentazioni colorate coatte e costanti. Era il 1812 e la sinestesia, nella forma dell’audizione colorata, entrava per la prima volta nella letteratura scientifica. Fra la fine dell’800 e l’inizio del ‘900 ci furono parecchi studi su questo fenomeno, la maggior parte dei quali considerava la sinestesia come una bizzarria o persino come  una patologia: la sinestesia sarebbe dovuta ad un’eccitazione incrociata dei centri cerebrali sensoriali (Clavière, 1889). Sulla stessa lunghezza d’onda è la teoria avanzata da Pedrono (1882) e de Rochas (1885):  la sinestesia sarebbe il risultato una sorta di corto circuito fra neuroni appartenenti a due o più sistemi sensoriali diversi. Ancora con Coriat (1913) si parlò di una differenziazione fisiologica incompleta. Insomma ” i sensi dei sinestesici, sarebbero ‘fusi’ a causa di uno scarso isolamento delle reti neuronali” (Dogana, 1993, p. 24).

“Durante il diciannovesimo secolo però cominciarono ad aumentare le prove a sostegno del fatto che la sinestesia non è tanto una perversità fisiologica, quanto un fenomeno psicologico, non comune, ma in ogni modo interessante ed importante” (Marks, 1975, p. 304). Gli studi di Galton (1883) sulle varie forme di sinestesia, fra cui l’audizione colorata e quelli di Bleuler e Lehmann (1881), che fornirono una prima quantificazione del fenomeno attraverso un’inchiesta di ampie proporzioni (su 596 soggetti ben 76 risultarono audiocoloristi), contribuirono a rendere l’argomento più “rispettabile” (Marks, 1975).

Non è difficile comprendere perché la sinestesia sia stata considerata una stranezza: nelle esperienze sinestesiche c’è infatti molto di idiosincratico e di individuale; chi vuole  seguirne le tracce entra in un labirinto pieno di meraviglie dove, però, corre il rischio di perdersi e di non trovare il filo che connette fra di loro degli eventi che sembrano così squisitamente soggettivi. Le idiosincrasie maggiori si riscontrano nelle sinestesie che riguardano i cosiddetti “sensi meno differenziati” e cioè il gusto, l’olfatto, il tatto, la temperatura ed il dolore. Queste sinestesie sono, come si è già detto, molto più rare rispetto a quelle che riguardano la vista e l’udito e sono, quindi, state studiate in misura minore, tuttavia è possibile, anche in quest’ambito, rendere conto di alcuni risultati, che, tra l’altro, sono veramente suggestivi.

Gusto ed olfatto

Il gusto colorato non presenta alcuna regolarità. Downey (1911) riportò un caso di gusto colorato in cui un soggetto percepiva il sapore dolce come nero, il sapore amaro come rosso e l’acido come verde. D’altro canto, Ginsberg (1923), parlando della propria sinestesia, descrisse queste corrispondenze: dolce con rosso, salato con blu, acido con verde, amaro con nero. La rassegna più completa di resoconti sulla sinestesia gustativa è quella di Bleuler e Lehmann (1881): solo 10 dei 76 soggetti sinestesici riportarono delle esperienze di gusto colorato e c’era un accordo molto modesto fra loro. Qualche volta gli stimoli sonori possono indurre delle risposte complesse, un’amalgama di sapori e di odori. Pierce (1907) raccontò il caso di una donna in cui la parola “Francis” induceva l’immagine gustativa ed olfattiva dei fagioli al forno, la parola “French” l’immagine dell’insalata russa e la parola “Italy” quella delle cipolline sottaceto.

Dolore

Per quanto i resoconti di dolore colorato siano davvero molto pochi, comunque esso esiste. La rassegna di Bleuler e Lehmann (1881) include 4 casi diversi : una donna vedeva il dolore come giallo, altre due vedevano rosso il dolore del mal di denti e un uomo, invece, il mal di denti lo vedeva giallo. Per Bleuler stesso anch’egli sinestesico, i dolori più forti sono bianchi, con l’eccezione del mal di denti che è nero.

Temperatura

Quando è la temperatura il termine evocatore di altre sensazioni, di solito sensazioni visive di colori, si assiste ad un disaccordo praticamente completo. Ginsberg (1923) notò che in lui il caldo e il freddo intensi suscitavano il colore nero. Collins (1929) riportò casi di persone in cui, invece, il freddo induceva il colore bianco e il caldo il colore rosso. I soggetti di Bleuler e Lehmann (1881) si distribuirono in questo modo: due, quando sentivano freddo vedevano il colore nero, uno, quando sentiva caldo vedeva il rosso, un altro il giallo ed un altro ancora il bianco.

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E’ innegabile, dunque, che nella sinestesia sia presente un aspetto di forte soggettività; esiste, però, anche un’altra faccia della medaglia: c’è, infatti, un nucleo di somiglianze nelle esperienze sinestesiche ed i percettori sinestesici sono d’accordo su molte relazioni inter-sensoriali, soprattutto se queste nascono nell’ambito visivo-auditivo (Marks, 1975). In effetti “la sinestesia comprende sia il generale che lo specifico, sia l’universale che l’individuale” (Marks, 1984, p. 429).

Prima di considerare alcuni esempi che mettono in luce le regolarità presenti nella sinestesia, occorre distinguere tra le dimensioni fisiche degli stimoli visivi ed auditivi e le percezioni psicologiche degli stessi, infatti d’ora in avanti per descrivere i fenomeni sinestesici si utilizzeranno le dimensioni psicologiche.

Le dimensioni fisiche della luce sono l’intensità e la lunghezza d’onda, le dimensione psicologiche corrispondenti sono invece la luminosità ed il colore; le dimensioni fisiche del suono sono l’intensità e la frequenza, mentre quelle psicologiche sono l’intensità sonora soggettiva e l’altezza. Anche se ci sono delle corrispondenze fra i due generi di variabili, queste non sono di tipo lineare; variando la frequenza del suono, ad esempio, si influisce non solo sull’altezza percepita, ma anche sull’intensità sonora soggettiva percepita (Lindsay & Norman, 1983).

Consideriamo ora, in primo luogo, il caso dei sinestesici in cui determinate note musicali risvegliano determinati colori. Anche se è difficile trovare due sinestesici d’accordo nel dire quali colori siano suscitati da quali note (il do centrale può sembrare rosso ad una persona, verde ad in’altra, viola ad un’altra ancora) tutti, però, sono d’accordo su di un punto: come una nota sale di un’ottava, ad esempio si passa da un do centrale ad un do acuto, il colore, qualunque esso sia, diviene più luminoso.

Anche il suono degli strumenti musicali, come quello delle note musicali, è spesso protagonista di fenomeni di audizione colorata: Locke (1690) descrisse, come si è già detto, il caso di un cieco per il quale il rosso equivaleva al suono della tromba ed il pittore Kandinsky (1912), così come il poeta Tieck (1828), vedeva blu il suono del flauto. Nuovamente, anche se i colori degli strumenti si rivelano capricciosi (ad esempio, non tutte le testimonianze confermano che il suono della tromba è rosso: per alcuni è giallo e per altri è verde-blu), è possibile trovare un elemento di regolarità, facendo riferimento alla luminosità evocata dai suoni.  Infatti, un’indagine sistematica di Mudge (1920) scoprì che i suoni tipicamente alti del flauto e del clarinetto sono, di solito, visti come luminosi, mentre i suoni più bassi emessi dal trombone sono considerati scuri.

La sinestesia auditivo-visiva presenta alcune regolarità persino in un caso particolare come quello delle immagini suscitate dall’ascolto musicale. Anche in una situazione tanto complessa si può ritrovare la traccia di un ordine; le immagini, infatti, tendono ad essere più luminose quando i suoni sono alti e forti e più grandi quando i suoni sono bassi e forti. Inoltre, Karwosky ed Odbert (1938) scoprirono che quando la musica è più veloce, le immagini visive sono più aguzze ed angolose.

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Forse, però, la forma di audizione colorata in cui si possono riscontrare più chiaramente delle correlazioni costanti è quella delle vocali colorate, fenomeno che ha fornito, tra l’altro, a Rimbaud lo spunto per scrivere il famoso sonetto “Vocali”, che inizia così: “A nera E bianca I rossa U verde O blu, vocali, / io dirò un giorno i vostri ascosi nascimenti” . Su questo argomento esiste un numero enorme di studi, da cui Marks (1978) ha estratto e messo a confronto le testimonianze di 400 soggetti sinestesici, riuscendo, in questo modo, a porre in evidenza alcune relazioni ricorrenti. La vocale A di solito provoca immagini rosse e blu, la E immagini bianche e gialle, come pure la I, mentre la O è associata al rosso e al nero e la U ai colori scuri (blu notte, marrone e nero).

E’ interessante notare, soprattutto  come varia la luminosità: le vocali alte (I, E) tendono ad evocare colori luminosi, quelle basse (O, U) tendono ad evocare colori scuri.

Ma le costanti non finiscono qui. L’audizione colorata, inoltre, è caratterizzata anche da un’altra forma di regolarità, che riguarda la grandezza delle immagini colorate indotte dai suoni. Infatti, quando i suoni sono alti le immagini visive indotte sono piccole, quando i suoni sono bassi le immagini visive indotte sono grandi.

A questo proposito, Riggs e Karwoski (1934) descrivono, fra gli altri, il caso esemplare di una bambina sinestesica di 7 anni e 1/2 per la quale la grandezza delle immagini colorate dipendeva dall’altezza dei suoni. I suoni prodotti dai tasti intermedi del pianoforte suscitavano in lei immagini grandi da 3 a 7 cm, mentre i suoni prodotti da un fischietto suscitavano in lei immagini piccole come un pisello. Anche la forma delle immagini visive indotte cambia con l’altezza del suono: i suoni alti tendono a produrre immagini appuntite ed angolose, mentre i suoni bassi immagini arrotondate e massicce (Marks, 1979).

Nella sinestesia auditivo-visiva rileviamo, dunque, l’esistenza delle seguenti correlazioni:

  • I suoni alti corrispondono ad immagini   luminose, quelli bassi ad immagini poco luminose;
  • I suoni forti  suscitano immagini luminose, quelli deboli immagini poco luminose;
  • I suoni alti corrispondono ad immagini piccole, appuntite,  angolose, quelli bassi ad immagini grandi, massicce, arrotondate;
  • I suoni forti suscitano piccolezza ed angolosità, mentre quelli deboli evocano vastità e rotondità;
  • I ritmi musicali rapidi e sincopati evocano immagini aguzze ed irregolari.

C’è da sottolineare, a questo punto, un aspetto molto interessante e di importanza fondamentale: anche fra i soggetti non-sinestesici, fra le persone “normali”, si può riscontrare la presenza di queste correlazioni fra dimensioni visive ed auditive. Ad esempio,”se si fa alla gente la domanda: ‘è più luminoso un colpo di tosse o uno sternuto?’ tutti, di solito, rispondono uno ‘sternuto’, anche se non sanno spiegare il motivo della loro risposta. Questa risposta deriva, probabilmente, dal fatto che gli sternuti hanno tipicamente un’altezza maggiore dei colpi di tosse ed i suoni alti corrispondono, come si è visto in precedenza, ad immagini luminose” (Marks, 1984 p. 427).

Sono interessanti, al fine di sottolineare la presenza in soggetti non sinestesici di comportamenti analoghi a quelli dei sinestesici, anche alcuni risultati ottenuti da Marks (1974) con una tecnica nota come cross-modality matching, espressione che in italiano si può tradurre con confronto incrociato. Il confronto incrociato è una tecnica di misurazione usata in psicofisica in cui “le valutazioni degli eventi soggettivi avvengono mediante la manipolazione di altri stimoli ed evitando l’uso dei numeri” (Pedon, 1987, p.85).  In una prova di confronto incrociato dell’intensità sensoriale di uno stimolo sonoro e di uno stimolo visivo si chiese ai soggetti di far combaciare l’intensità delle due sensazioni cioè di far combaciare l’intensità sonora soggettiva con la luminosità. Marks (1974) chiese a soggetti non-sinestesici di scegliere dei suoni che combaciassero con delle diverse sfumature di grigio. I risultati mostrarono una tendenza generale ad associare i suoni bassi con il nero  ed i suoni alti con il bianco; inoltre la maggior parte dei soggetti appaiava il bianco con i suoni forti ed il nero con i suoni deboli.  Come si può notare “le corrispondenze ottenute sono uguali a quelle caratteristiche della sinestesia” (Marks, 1975, p. 304).

Sembra, infine, che sia possibile trovare, nei soggetti non-sinestesici, anche qualcosa di simile alla relazione sinestesica scoperta da Karwosky ed Odbert (1938) nell’ambito della percezione musicale. Infatti, Willmann (1944) chiese ad alcuni studenti di composizione musicale di scrivere una serie di musiche, ognuna di esse ispirata da un tema visivo. C’erano parecchi soggetti visivi: linee a zig-zag, forme quadrate, tonde, schiacciate. Ogni tema suscitò composizioni diverse nei diversi studenti, ma si ravvisarono anche alcuni elementi comuni: le linee angolose ed irregolari suscitavano suoni più forti, ritmi più rapidi e sincopati.

Queste somiglianze fra soggetti sinestesici e soggetti normali non sono così sorprendenti se si considera la sinestesia “non come  un’entità distinta ed anormale, ma come il punto finale di un continuum lungo il quale le corrispondenze sensoriali variano in intensità e vividezza” (Marks, 1975, p. 316). In realtà “i soggetti dotati di capacità sinestesiche avvertono chiaramente ciò che tutti noi avvertiamo in maniera confusa” (Marks, 1979, p. 29). Possiamo considerare le corrispondenze inter-modali presenti in tutte le persone normali come manifestazioni di una forma di sinestesia “debole” e quelle più sensazionali, presenti nei soggetti sinestesici, come manifestazioni di una sinestesia “forte”.

E’ necessario, però, mettere in rilievo non solo le somiglianze tra sinestesia “forte” e “debole”, ma anche le differenze: se è vero che le corrispondenze sono le stesse, è anche vero che i sinestesici percepiscono realmente le immagini, i suoni, gli odori evocati, mentre i soggetti normali si limitano a stabilire delle associazioni. La sinestesia “forte” è sempre una sinestesia sensoriale, quella “debole” è una sinestesia verbale in cui i soggetti non hanno a che fare direttamente con luci, suoni o colori, ma con parole che descrivono luci, suoni, colori, come nella metafora sinestesica.

La vividezza dell’esperienza non è l’unico tipo di differenza: la sinestesia “forte” è caratterizzata anche da una maggior rigidità ed automaticità; le associazioni inter-modali che si riscontrano nelle persone normali seguono le stesse regole della percezione sinestesica, ma non lo fanno sempre in modo rigido. Ad esempio è vero che la maggior parte delle persone alla domanda “è più luminoso un colpo di tosse od uno sternuto?” risponde “uno sternuto”, ma è perfettamente possibile che qualcuno risponda “un colpo di tosse”.

Questa regola, che definisce la sinestesia “debole” come più incostante e mutevole, è però caratterizzata da un’importante eccezione, la quale riguarda la relazione tra temperatura e colore. Mentre i casi di temperatura colorata sono, come tutte le sinestesie dei cosiddetti sensi meno differenziati, veramente idiosincratiche ed inaffidabili, esistono delle relazioni inter-sensoriali “deboli”, tra le sensazioni termiche ed i colori, che sono abbastanza stabili. Tutti, infatti, conoscono la dicotomia tra colori caldi e colori freddi: i gialli, i rossi, gli arancioni sono considerati caldi, i verdi ed i blu sono considerati freddi. Inoltre, a tutti può capitare di parlare del caldo colore giallo, ad esempio, di un girasole, senza provare, in realtà, alcuna sensazione di calore. Questo è un caso di sinestesia solo verbale; si tratta, infatti, di una metafora sinestesica.

Le persone non-sinestesiche, comunque, in particolari condizioni, possono sperimentare anche percezioni sinestesiche “forti”; questo avviene sotto l’effetto di alcune droghe come la mescalina e l’hashish, che abitualmente alterano gli stati di coscienza. Probabilmente queste droghe portano alla luce, enfatizzandole, delle potenzialità latenti (Marks, 1979). 

Una conferma a quest’ipotesi ci viene dal mondo della letteratura. Nella Parigi del secolo scorso, all’hotel Pimodan in via St. Louis, un gruppo di artisti, tra cui Charles Baudelaire e Théophile Gautier, aveva dato vita al cosiddetto “hashish club” o “club dei mangiatori di hashish”. L’uso della droga in quel contesto va interpretato come un tentativo di fuga da una realtà vissuta come estranea, il poeta si sente un esiliato, un angelo caduto: “il poeta che, avvezzo alla tempesta / si ride dell’arciere: ma esiliato / sulla terra, fra scherni, camminare / non può per le sue ali di gigante” (Baudelaire, “L’albatro”). Si spiega così il ricorso ai “paradisi artificiali” della droga o a qualsiasi altra sollecitazione che permetta di abbandonarsi a nuove sensazioni di colori, di musiche, di profumi. Una descrizione esemplare delle conseguenze dell’assunzione di hashish ce la offre  Gautier: “Il mio udito si era prodigiosamente sviluppato; sentivo il rumore dei colori. Suoni verdi, rossi, blu, gialli mi arrivavano in onde perfettamente distinte. Un bicchiere rovesciato, uno scricchiolio della poltrona, una parola pronunciata a bassa voce, vibravano e si trattenevano in me come rombi di tuono. Ogni oggetto sfiorato mi provocava una nota di armonica o di arpa eolica”(cit. in Marks, 1984, p. 428). Secondo Baudelaire questi fenomeni provocati dall’hashish non sono veramente strani ed insoliti, ma rappresentano piuttosto forme più vivide di percezioni normali.  Baudelaire infatti scrisse: ” I suoni si ammantano di colori e i colori racchiudono la musica, eppure la mente di ogni poeta, in uno stato normale e sano, concepisce facilmente queste analogie” (cit. in Marks, 1984, p. 428). Con queste considerazioni Baudelaire dà prova di un considerevole intuito psicologico.

Sottolineare che il fenomeno della sinestesia non è ristretto solo ad alcuni individui particolari, ma coinvolge, praticamente, anche tutti gli individui normali, sia attraverso esperienze sinestesiche “deboli” universalmente diffuse, sia attraverso esperienze sinestesiche “forti” indotte da droghe è, forse, il modo migliore per confutare l’ipotesi di una sinestesia patologica. Come dice Marks: “Alcuni ritengono che la sinestesia sia una patologia. Forse. E forse tutti noi siamo pazzi” (Marks, 1975, p. 323).

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