Il metodo rogersiano

I contenuti di questa sezione sono tratti principalmente dal libro “La terapia centrata sul cliente”, Carl Rogers, edizioni Psycho, Firenze, 2000. I virgolettati fanno sempre riferimento a questo testo.

Carl Rogers fu uno psicologo statunitense (1902-1987). E’ noto  soprattutto per aver sviluppato un suo metodo, definito non direttivo e caratterizzato dall’aver sostituito il termine “paziente” con quello di “cliente”, nel tentativo di offrire maggiore dignità alla persona in difficoltà. E’ ricordato anche per aver approfondito il concetto di ascolto empatico e per aver contribuito a delineare una modalità d’aiuto simile ma non identica alla psicoterapia: il counseling. Infatti in molti centri universitari dove lavorò come professore vennero istituiti centri di ascolto o counseling. Viene annoverato fra gli psicologi clinici, ma non va dimenticato che lavorò quasi sempre presso strutture universitarie e che utilizzò un metodo rigoroso: osservava i dati che emergevano dalla pratica quotidiana e costruiva delle ipotesi, che poi cercava di sottoporre a verifica sperimentale. Non fu solo la frequentazione dell’ambiente accademico a portarlo su questa strada; infatti giunse ad affermare: “La ricerca nasce dal bisogno di ordine che è in me.. la terapia è l’esperienza alla quale posso lasciarmi andare soggettivamente. La ricerca è l’esperienza in cui posso staccarmi un po’ dai problemi per considerare con oggettività un’esperienza soggettiva così ricca ed applicare tutti gli strumenti scientifici disponibili per verificare se non mi stia imbrogliando da solo.” Un aspetto importante del suo lavoro fu la stretta e dichiarata connessione fra quanto viveva e sperimentava  di persona  e quanto andava teorizzando; nei suoi testi infatti i riferimenti personali sono frequenti. Si interessò non solo alla risoluzione di conflitti interpersonali, ma anche a quelli relativi a gruppi di persone, fino ad estendere il suo operato alle relazioni internazionali; per questo motivo poco prima della sua morte venne proposto come premio Nobel per la Pace. Tutta la sua opera è attraversata da un senso di fiducia nelle potenzialità umane, da cui la sua famosa frase: “l’uomo è un organismo fondamentalmente degno di fiducia”.

Uno dei suoi obiettivi fu capire quali siano le condizioni di base, necessarie e sufficienti per consentire una modificazione della personalità, in senso evolutivo.

Che cosa si intende per modifica evolutiva della personalità? La questione era tutt’altro che scontata per Rogers, che a questo argomento dedicò una ricerca, confrontando i riferimenti delle diverse scuole di psicoterapia, peraltro con risultati sorprendenti. Ma in prima battuta scelse di affidarsi a un’ “ipotesi di lavoro”, considerando come obiettivo della terapia “l’evoluzione verso quello stadio che i clinici definirebbero di maggior integrazione e di minor conflittualità e di maggior disponibilità di energie per una vita produttiva”.

Secondo Rogers le condizioni di base che consentono al cliente di modificare la propria personalità e che fanno riuscire la terapia sono sei:

  1. Il cliente e il terapeuta devono essere in contatto psicologico
  2. Il cliente è in uno stato di ansia e vulnerabilità che Rogers definisce incongruenza.
  3. Il terapeuta  è in uno stato di congruenza ovvero nella relazione è liberamente e profondamente sé stesso
  4. Il terapeuta prova verso il cliente un sentimento di accettazione positiva incondizionata
  5. Il terapeuta comprende empaticamente il mondo interno del cliente
  6. Il terapeuta riesce a comunicare almeno in parte la sua congruenza, la sua accettazione positiva incondizionata e la sua empatia

Queste caratteristiche sono essenziali in tutti i tipi di terapia, non solo in quella centrata sul cliente: un’interpretazione psicoanalitica, un lavoro basato sull’ipnosi, una strategia cognitiva, al pari di qualunque altra tecnica possono essere utili in quanto comunicano al cliente la congruenza, l’accettazione e la comprensione empatica del terapeuta. Infatti per Rogers le tecniche non sono fondamentali, sono solo degli strumenti che servono per comunicare al cliente le condizioni di base.

In ogni caso, i concetti cardine di questo elenco sono tre: la congruenza, l’accettazione e l’empatia ; ora li vedremo più da vicino.

Il primo e più importante è il concetto di congruenza; al punto che Rogers si chiese se questa non fosse alla fine l’unica vera condizione necessaria, che tra l’altro è proprio quello che distingue il cliente dal terapeuta. Quando c’è una forte discrepanza fra l’esperienza che passa in ogni istante nell’organismo e l’immagine di sési ha una situazione di incongruenza. Per vari motivi il cliente considera alcuni sentimenti, che fanno parte della sua esperienza, minacciosi per la sua immagine di sé e pertanto questi ultimi compaiono alla coscienza in modo distorto. Facciamo un esempio: immaginiamo il caso di uno studente che teme gli esami perché potrebbero non avere esito positivo; ora immaginiamo che questi esami si tengano all’ultimo piano della sua facoltà. Nel caso in cui l’insuccesso agli esami sia in netto contrasto con l’immagine che lo studente ha di sé, questa paura potrebbe prendere una forma distorta e apparire come il timore di salire le scale o un senso di vertigine. Potremmo allora dire che il nostro  studente per difendersi dall’ansia di scoprirsi inadeguato ha sviluppato un sintomo. Al terapeuta, d’altro canto, non si chiede di essere congruente 24 ore su 24 (anche se il pensiero di Rogers va in questa direzione), ma di esserlo durante la relazione col paziente. Questo richiede al terapeuta un monitoraggio costante dei sentimenti che prova verso il cliente, senza alcuna censura. A volte, richiede persino che questi sentimenti vengano comunicati al cliente. Nel caso di sentimenti negativi, di noia o di irritazione, questo compito potrebbe non essere  troppo facile, ma secondo Rogers un atteggiamento genuino è sempre più produttivo di uno “di facciata”. Anche perché, dice Rogers, “nel momento in cui comunico, per esempio, la mia noia al cliente, succede una cosa molto interessante: il mio sentimento cambia, non sono più annoiato mentre cerco di definire cosa provo e cerco di comunicarglielo come un mio vissuto e non come una sua caratteristica e capisco che in realtà vorrei solo essergli più vicino. Poiché ho osato essere “vero” con lui, forse lui riuscirà ad essere “vero” con me e cominceremo a comunicare”. La scelta fra comunicare i propri sentimenti o non farlo, è molto delicata; la comunicazione può essere fatta se ha un senso per il cliente e può essere d’aiuto alla relazione terapeutica, non va fatta invece quando è solo un modo per permettere al terapeuta di sfogarsi. In altre parole: il terapeuta deve essere costantemente consapevole di cosa prova e non agire mai in modo contrastante; non per questo però deve dire tutto quello che gli passa per la testa!

Il secondo concetto importante è quello dell’accettazione positiva incondizionata. Il termine positiva può forse suscitare un equivoco: non si tratta di giudicare in modo benevolo il cliente. Al contrario, si tratta di non giudicarlo affatto, accettandolo esattamente per quello che è, non solo quando fa quello che al terapeuta sembra bene per lui. Quello che Rogers descrive è un atteggiamento non valutativo e non possessivo. Probabilmente è da questo concetto che è scaturita la definizione di metodo non direttivo. Può sembrare facile definire questo modo di fare, ma metterlo in pratica non lo è affatto. In effetti, anche Rogers ammette che “una considerazione positiva completamente incondizionata esiste solo in teoria. … Il terapeuta prova una considerazione positiva incondizionata per il cliente in molti momenti del suo rapporto con lui, mentre in altri momenti sperimenta una considerazione positiva condizionata e in altri ancora, forse, una considerazione negativa.” La considerazione non giudicante è molto importante: permette al cliente di sperimentare in un clima non minaccioso i sentimenti che gli fanno paura, perchè non corrispondono all’immagine di sé e lo aiuta a ricomporre la discrepanza fra esperienza e immagine di sé. Rogers ipotizza che la discrepanza del cliente abbia avuto origine nell’infanzia, quando i genitori o gli adulti significativi hanno concesso il loro amore in modo troppo condizionato. L’accettazione del terapeuta è una sorta di riparazione delle relazioni carenti sperimentate dal cliente.

Il terzo concetto fondamentale nel pensiero di Rogers e forse quello per cui è divenuto più famoso, è l’empatia. Si definisce come la capacità del terapeuta di sentire i sentimenti del cliente come se fossero i suoi, senza perdere mai la connotazione del comese. Sentire l’ira, la paura, la confusione del cliente come se fosse mia, ma senza aggiungervi la mia ira, la mia paura, la mia confusione; questa è empatia. Rogers utilizza una metafora spaziale per descriverla: sapersi muovere nel mondo interno del cliente come se fosse il nostro. Immaginando che il mondo interno del cliente sia una stanza, una comprensione empatica si raggiunge quando conosco così bene com’è arredata la stanza che so che se mi muovo da quel lato andrò a sbattere contro un tavolo, mentre so che da un altro c’è spazio per camminare. Quando si arriva a una conoscenza “geografica” così precisa, si può fare luce su aspetti della stanza che sono in ombra e che il cliente non vede.

La tecnica della risposta riflettente fu lo strumento con cui Rogers cercò di affinare la comprensione empatica del cliente. Anche nella sua applicazione più semplice, che consiste nel riformulare il contenuto appena espresso dal cliente, questa modalità fa sentire al cliente che non è da solo, che qualcuno lo ascolta e che cerca di capirlo. Inoltre gli permette di mettere a fuoco meglio quanto sta dicendo; infatti è del tutto istintivo per il cliente cercare di capire se la riformulazione fatta dal terapeuta gli corrisponde oppure no; in questo modo ha la possibilità di esplorarsi. Ci sono poi livelli più raffinati, come la risposta al sentimento contrastante, in cui si cerca di evidenziare una situazione conflittuale. A volte il terapeuta può cogliere un aspetto di cui il paziente non è per nulla cosciente; in questo caso rigetta la risposta del terapeuta. Altre volte il terapeuta coglie qualcosa che sta al confine tra il consapevole e l’inconsapevole e il cliente può avere la sensazione di scoprire un nuovo aspetto di sé. Quest’ultima situazione potrebbe essere definita un insight; in questi casi la risposta riflettente di tradizione rogersiana non differisce poi molto da quello che in ambito psicoanalitico si chiamerebbe un’interpretazione.

Quando congruenza, accettazione ed empatia convergono nel colloquio, si crea un clima non minaccioso, che renda possibile l’esplorazione, l’accettazione e quindi il cambiamento. Analizzando le dinamiche di tale cambiamento Rogers individua un continuum: a un polo avremo una personalità rigida e poco evoluta, al polo opposto avremo invece la massima espressione delle potenzialità individuali. Rogers divide il continuum in 7 stadi. Di solito la terapia va dallo stadio 2 allo stadio 4, quindi si interrompe molto prima della completa realizzazione del cliente. È molto raro che una persona parta dal primo stadio e arrivi al settimo, se ciò accade richiede certamente molti anni. Quando, comunque, il cliente arriva allo stadio 6, poi si evolve autonomamente allo stadio 7. Ogni stadio ha le sue caratteristiche; qui per brevità parleremo solo dei due estremi.

Caratteristiche dello Stadio 1:

– è improbabile che la persona richieda volontariamente una terapia;

– tende a comunicare molto poco e solo su aspetti esterni, non ama parlare di sé.

– non avverte alcun desiderio di cambiamento;

– i problemi avvertiti sono proiettati tutti all’esterno (è il mondo che deve cambiare);

– non avverte alcuna responsabilità nelle situazioni problematiche in cui è coinvolta

– i costrutti personali sono rigidi, tende a pensare in termini di bianco e nero (“sono sempre … non farò mai …)

– tende a costruire la propria esperienza presente facendo riferimento al passato e a categorie prestabilite (“sono sempre stata una persona curiosa per cui ora sono interessata a quello che mi sta dicendo… ecc”).

Caratteristiche dello stadio 7:

– i costrutti personali sono formulati in modo provvisorio per confrontarli con la dinamica dell’esperienza,

– la persona non si stupisce se le sue opinioni e sensazioni cambiano rispetto a uno stesso oggetto/persona e se non è coerente (si sorprende, ma non si dispiace di fronte all’incoerenza)

– sperimenta con ricchezza di particolari sentimenti nuovi sia nella relazione terapeutica che al di fuori

– usa l’esperienza  di tali sentimenti come un referente per capire in modo più chiaro chi è e cosa vuole

– accetta questi sentimenti  e ha fiducia nel processo di cambiamento

– il sé come oggetto percepito scompare e c’è solo la coscienza dell’esperienza attuale (il sé si sovrappone all’esperienza)

Per fare un esempio dell’approccio sperimentale che Rogers ha sempre affiancato all’attività clinica si può far riferimento alla scala con cui cercò di misurare gli stadi del continuum.Questa scala nelle sue intenzioni dovrebbe essere uno strumento operativo, che ci permetta di capire ogni soggetto a che punto è del suo processo terapeutico. La scala dovrebbe funzionare in assenza di informazioni sulla storia personale del cliente, sulla diagnosi o sulla durata del trattamento. Il gruppo di studi di Rogers dedicò diverse ricerche a questo tema, in uno di queste seguì la seguente procedura: si scelse un caso interamente registrato, si scelse un tema – la famiglia – a cui il cliente era particolarmente interessato. Vennero scelti 5 colloqui (il 1°, il 7°, il 13°, il 19° e il 25°); da questi colloqui si estrasse il primo riferimento del cliente alla situazione familiare. Vennero così creati 5 campioni, dattiloscritti e registrati su nastro. Questi campioni vennero fatti ascoltare ad alcuni giudici, che conoscevano l’idea di fondo del continuum e conoscevano la descrizione dei 7 stadi; i campioni vennero presentati a coppie e ogni campione fu confrontato con ogni altro. Ai giudici si chiese quale campione descriveva uno stadio più avanzato e qual era lo stadio di ogni campione. Il risultato che emerse fu una notevole concordanza fra i giudici nello stabilire questi aspetti. La scala di processo  trovò così la sua prima conferma. Va sottolineato però che tale strumento non potrebbe essere applicato a situazioni in cui il cliente si sente frainteso e accettato in modo condizionato.

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